Bruno Filippi – Scritti postumi (Parte 5/5)

Lettere dalla Casa di Correzione di Forlì

28-07-1916

Carissima,
Quando fanciulletto ancora, tracciavo con mano malferma sul foglio augurale i detti che il cuore dettava, il pensiero non supponeva certo la bufera che avrei dovuto sostenere; e non supponeva che sarebbe venuto un giorno, triste e lieto nello stesso tempo, che io non più fanciullo mi sarei inchinato ancora alla consuetudine gentile, e presa la penna avrei tracciato frasi che l’emozione doveva improntare ancora ad una ingenuità confusa. Ma così è. Allora ne l’ignara infanzia, scriveva l’istinto; ora che le prove mi hanno un po’ temprato, scrive il cuore; il mio povero cuore, che nelle ore più dure si vide consolare da una pallida visione di madre, soave e impareggiabile consolatrice; ed ora per significare tutto il tumulto d’affetto che mi sconvolge, vorrei ridiventar fanciullo per poter dire col labbro semplice e puro, parole d’amore e di riconoscenza. Perché mi sembra che da quei tempi al pensiero remoti una parte di me stesso sia scomparsa. La realtà della vita, ha forse soffocato in me quella spontaneità gentile, che mi faceva parlare in modo che ora inutilmente cerco d’imitare. Ma voglio sforzarmi; voglio per un istante ritornar bambino per veder di ritrovare negli intimi recessi del mio essere, ancora un po’ di quel vocabolario sincero.

Vorrei aver per penna un fiore e per calamaio l’azzurro del cielo, e ne la prosa vorrei restasse qualche raggio di sole e un po’ del cinguettio mirabile degli usignoli. Vorrei vederti assisa su un aureo tuono, per venir a deporre ai tuoi piedi bracciate di rugiadosi e profumati fiori, coma a una Madonna. Sì, come a una Madonna: quando bambino, sotto la tua guida amorosa, balbettavo preghiere, nulla l’animo sentiva…. Ora non prego più, che spenta è in me ogni credenza, ma quando nelle notti insonni ti penso e mormoro il tuo nome, mi scendono in cuore pensieri di mestizia, d’amore, di speranza, che le ingenue preghiere della fanciullezza non mi facevano sentire. All’animo mio, il tuo nome è fremito d’arpa, un po’ della musica di cui è pieno l’universo. Solo il mormorare delle fonti e il sussurrio dello zeffiro fra le fronde, han confronto con la musicalità del tuo nome. Ed io qui, non lo nomino, che ho paura d’offuscarlo. Mi contenerò di mormorarlo pianamente stasera mentre mi addormenterò pensando. O madre cara, accogli con senso d’indulgenza queste poche frasi di tuo figlio prigioniero. Ben lo sai, se la carta non lo svela, ciò che ho nel cuore e ciò che vorrei dirti. Perciò scusa l’aridità dei concetti, che a certi compiti non varrebbe possedere neanche la penna di Dante. È per la gentilezza del direttore di qui che posso mandarti questa mia. Rivolgi quindi anche a lui un pensiero di ringraziamento. Ed io nulla ti chiedo, ma confesso che attendo un bacione forte forte, per far riscontro a quello che ti manda ora il figlio tuo Bruno.

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13-08-1916


Carissimi,
E vi assicuro che non una, ma mille lettere non basterebbero a darvi un’idea del mio affetto per voi. Io giorno per giorno penso al modo di ripagarvi di una infima parte dei vostri sacrifici, e quando uscirò spero dimostrarvi che non ho promesso invano, e state pur certi che, salva la mia fede, voi avrete sempre in me un figlio che ricorda. Ma su ciò che basta, mi vedrete ai fatti.

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12-12-1916

Ci avviamo ad una data fatidica nel mondo. Nella data che dagli spiriti liberi è salutata come il primo sorgere di un’età più bella nel mondo. Cristo morì e le sue parole furono purtroppo dimenticate, ma l’uomo istintivamente continuò a festeggiare il Natale come la festa sua più bella ed espressiva, che malgrado la veste che la ricopre è pur sempre il saluto dell’umanità al martire ed al precursore delle liete età che già si delineano e che presto verranno. Io, se mi lascio cullare dai ricordi, penso a quei lieti natali che passammo nella santa quiete famigliare, intorno alla tavola lietamente imbandita tra il gaio schioppettìo dei ciocchi nel caminetto! Ohimè! Non ciocchi e liete imbandigioni ora, ma qualcosa di meglio. Queste inferiate che mi chiudono, e che io pensai talvolta dovermi custodire per più lungo tempo, son prossime a schiudersi, onde per me e per voi questo natale verifica in parte il significato simbolico della festa. Libertà dissi e passi la parola. Ma lo spirito purtroppo impaziente scioglie ardui voli e anela ben altro. Ma ora solo questo vuole e spera il mio animo: vuole confortarvi, vuole compensarvi di lunghi dolori. Ora la speranza diretta è quella di potervi abbracciare e baciare. Dice un proverbio cinese (e i cinesi, lo sapete, colgon sovente nel segno) che i grandi dolori preparano le grandi gioie. Noi tutti acerbamente soffrimmo, ma ormai s’avvicina la ricompensa. E lo spirito mio che vorrebbe rubare il volo alle aquile si culla in quest’idea….

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Lettere al Padre

Milano, 02-06-1918

Carissimo,
Forse Pompei, avrà spronato il tuo estro, col tumulto dei marmi millenari, esposti brutalmente al sole di questi anni tragici.
I capitelli semplici, le colonne maestose avranno in un certo modo lasciato un impressione sul tuo spirito.
Ma non lasciarti vincere.
Pensa che quelle opere d’arte sono frutto di milioni di schiavi che con le loro ossa hanno fondato la città morta. E pensa che altri schiavi, moderni però, la scavarono, e per dare un diletto ai tanti inglesi più o meno italiani, si spezzarono le braccia sulle dure lave, perché poi un gruppo d’imbecilli, tra una bottiglia di champagne e l’altra, ruttino la loro ignoranza, condensata in una esclamazione.
Ma certo la tua lira avrà voli più alti, amerà vette più eccelse e quindi… «non ti curar di lor ma guarda e passa…».
Essi stanno bene nel fango d’onde non bisogna toglierli neanche per vituperarli.

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Milano, 29-06-1918

Carissimo babbo,
Ma in complesso, mi pare che su per giù in tutto il mondo vi sia a fianco delle grandi meraviglie naturali, grande sporcizia mentale nei popoli. A fianco delle grandi cascate del Niagara vi sono le officine poderose ove migliaia di schiavi, apprestano i banchetti che i turisti americani s’imbandiscono. Se vai sul mare vedi una sentinella che ti sbarra il passo, se vai in un basco un ferreo recinto simbolo di padronanza te ne impedisce l’accesso.
E così noi che siamo il più grande miracolo della natura, e della natura dovremmo farci i signori, vediamo che in realtà siamo gli schiavi… e di chi? Di una forza a noi superiore? No! Di esseri a noi simili!
Tu dici che vedendo con i miei occhi subirei una disillusione. T’inganni, perché se nelle masse io semino qualche volta, lo faccio solo perché voglio sfruttare la forza bruta che queste masse hanno, e tutto questo senza fare tanto assegnamento.
E per il resto io difendo la mia causa e non quella dell’umanità.
Io voglio la mia libertà morale e materiale e il mio benessere.
Per questo lotto e lotterò. Quindi nessuna disillusione!

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Gli “Scritti postumi” sono finiti. Quello sotto è un extra.

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L’olocausto di Bruno Filippi

«L’attentato dell’anarchico è disinteressato; gli scopi sono nobili.
L’anarchico muore come un martire…
»
Gustave Kahn

Il giovinetto anarchico Bruno Filippi, nato il 30 maggio 1900, ardito della Rivoluzione Sociale per l’Anarchia, ha trovato volontariamente una fine eroica e gloriosa agli estremi avamposti, di là dalla Barricata… la sera del 7 settembre verso le 21.

Bruno Filippi — «un giovinetto dalla statura normale, capelli folti e nerissimi, occhi brillanti, viso completamente glabro» fu dilacerato o carbonizzato da una bomba che egli certamente voleva collocare o alla Sede del New Club o al Caffé Biffi, quartieri generali di tutta l’alta delinquenza dell’industria, del commercio, della finanza, del militarismo, del giornalismo e del lupanare dell’interventismo milanesi.

Indubbiamente la bomba gli scoppiò tra le mani prima del tempo e del nostro giovanissimo e pieno di vita Bruno Filippi «dagli occhi brillanti, ecc.» non rimasero che «un piede e la scatola cranica, frammisti a pezzi di abiti, ma il tutto frantumato».

Il nostro Bruno Filippi per agitare sempre più alto lo stendardo della rivolta contro lo Stato e il Padronato si è incendiato la sua grande anima di anarchico nel fuoco della sua immortale Idea che prese forma e corpo momentaneamente, nella bomba per lanciare la Protesta Umana incontenibile contro il mondo degli sfruttatori, dei profittatori, degli affamatori cinici, esosi, criminali del New Club e del Caffé Biffi responsabili di tanta rovina.

L’ardito della Rivoluzione per l’Anarchia Bruno Filippi amò gli umili, i sofferenti, la libertà, i fiori, il sole, l’Idealità e odiò i potenti, gli sfruttatori, gli oppressori, la schiavitù, lo Stato e i suoi puntelli sino a dissolversi in molecole, in atomi, a sfarsi sotto la pressione violenta dell’orchestrazione sonora, possente della prodigiosa sinfonia anarchica della dinamite che terrorizzò gli «eroi» del Caffè Biffi…

E aveva solo 19 primavere! — Una rosa che si sfoglia sul seno d’una donna avvinta dall’amante! …

E a traverso quante lotte e quali aspre persecuzioni Lui era già passato!

Questo immenso giovinetto non ha vissuto che di sofferenza e d’amore per gli altri.

Mentre scriviamo, l’anima nostra, commossa, dell’olocausto generoso all’Idea, si fissa, rapita, su due “episodi” spiccatissimi della vita agitatissima, se pur giovanissima, del nostro Bruno Filippi.

Nello scontro tra le bande pretoriane e prezzolate del Caffé Biffi e i sovversivi, nel maggio radioso del 1915, in cui rimase ucciso dalla violenza legale e patentata certo Adriano Gabba, Lui venne arrestato.

Trascinato alle Assise di Milano — Bruno Filippi aveva allora 15 anni — si comportò dirittamente, proclamò altamente, con giovanile e simpatica audacia le sue idee anarchiche, talmente che tutti rimasero sorpresi e stupiti dalla chiarezza delle idee che quell’adolescente dal cervello precoce esprimeva in Corte d’Assise

— Mi congratulo con voi che leggete Spencer! gli disse il presidente.
— Non con me, signor presidente, ma con la Natura dovete congratularvi! Rispose quel grande giovinetto di appena 15 anni.

Noi rimanemmo pensosi, ma vedemmo subito in lui il predestinato all’azione, al fatto anarchico, come suol dirsi.

Il secondo episodio è di poche ore avanti l’olocausto supremo di Lui. Esso è d’una bellezza e grandezza umana veramente ineffabili. Occorre aver l’anima anarchica per sentirne tutta la portentosa e immortale potenza dell’immortale «amore collettivo» della Specie, in cui Bruno si è combustionato.

Eccola:

«La sera dell’attentato, finché fu in casa, il Filippi si dimostrò di umore allegro. Poi salutò tutti, baciò la madre e la sorellina minore e fu visto scendere rapidamente le scale…».

Andava a morire! Quanta serenità, quale consapevolezza dell’alta missione affidatagli dalla Specie per combattere la morte, morendo, per il trionfo della Vita.

Bruno ha vissuto e si è combustionato per amore nei raggi infuocati dell’Ideale, così come la libellula, dalle ali seriche, che vive d’amore e muore in un raggio di sole, dissolvendosi per la sua prole….

I due fenomeni, nel rapporti della causalità, sono identici nel mondo biologico, che per noi è anche rivoluzionariamente sociologico.

Noi siamo deterministi, e un profondo istinto ci avverte interiormente che tutti i nostri atti son sempre di reazione violenta, correttiva, alla violenza mortale dei Poteri costituiti, alla degenerazione e alla morte della Specie. — Noi siamo gli strumenti d’una provvida legge ascensionale di Natura…

Dunque, egregissimi dell’Avanti! — che benché vi professiate deterministi, ma il cui commento idiota e nefando (o neutrale?) ci prova che ad onta di tutto siete sempre quelli del 31 luglio 1900 — né Bruno Filippi né noi siamo degli illusi per «individuare le responsabilità delle lotte economiche»; neanche crediamo, né alcuno dei nostri grandi regicidi comunque vendicatori ha mai creduto, che l’«abbattimento d’un uomo significhi la distruzione dei sistema». No, no, mai!

Il «gesto» di Bruno — «bello» direbbe il poeta Tailhade — col sacrifizio supremo di se stesso, vuol soltanto indicare alle masse, ingannate, logorate, sciupate da voi, e tradite dai confederalisti, le grandi e sole vie maestre della emancipazione e gli unici mezzi spicci e risolutivi da adottare. Niente altro.

Guardate. Mentre la vita si fa sempre più aspra, misera, tribolata; mentre Nitti prepara l’affamamento di tutte le stentate plebi d’Italia aumentando il pane e tutti i generi di prima necessità, mentre per tutte le città d’Italia si fa scempio della vita umana e Nitti fa l’elogio del carabiniere, e li aumenta, e crea la Guardia Reale per strappare il pane di bocca agli affamati onde dare il 5 e mezzo alla borghesia che provocò la nostra rovina; e il Corriere della Sera fa l’apologia dell’assassinio, mentre voi avete spezzato i moti rivoluzionari del 5-10 luglio per preparare, d’accordo coi gialli di Francia, d’Inghilterra e d’Italia, il gran festival, il fallimento del 20-21 e creare l’atmosfera agli esperimenti della Confederazione e alle insurrezioni… elettorali; mentre logorate 300.000 operai, e opponete le zuppe e le processioni calme, educate, ben ordinate; la Rivoluzione ha espresso dal suo turgido seno uno dei suoi numerosi e meravigliosi figli, i quali a prezzo della loro vita, colla voce possente della dinamite vi richiamano alla dura realtà, rimette sulla via maestra il movimento liberatore smarritosi nei tortuosi vicoli della viltà e nei meandri del suicidio volontario.

La nostra «follia sterile e vana» non ha altro significato e finalità.

Noi siamo le predestinate, e tormentate e determinate cellule uscite dalla Specie por combattere, con mezzi adeguati, tutte le deviazioni e degenerazioni, e aprirle sulle aspre e insanguinate vie dell’evoluzione organica o della Rivoluzione sociale, il cammino ascensionale verso l’Unità Umana, verso l’armonia delle cellule nella Specie; verso l’Anarchia.

E ogni volta o che le forze del male aumentano, minacciando di morte la Specie, o che le forze del bene operino passivamente, esce dal seno di essa la cellula determinata che, coll’atto energico, adeguato, colla violenza insomma, indica agli uomini di volontà la sola via maestra della salute.

Unicamente questa missione biologica e rivoluzionaria ha adempiuto il giovanetto Bruno Filippi dissoltosi in un raggio infocato d’amore….

Egli è vissuto e morto per la Rivoluzione, per l’Anarchia e per la Specie.

Salutiamola, o compagni, questa grande e amorosa anima.

[L’Avvenire Anarchico, n. 35, 12 settembre 1919]

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Biografia di Bruno Filippi

Bruno Filippi (Livorno, 30 marzo 1900 – Milano, 7 settembre 1919) è stato un anarchico individualista e iconoclasta italiano.

Bruno Filippi nasce il 30 marzo 1900 a Livorno, in una famiglia numerosa (Bruno è il primo di sei figli [1]), ma quando è poco più che un bambino si strasferisce con la famiglia a Milano.

Sin da adolescente ha già le idee chiare, nette e radicali: è un individualista stirneriano conosciuto alla polizia sin dal 1915, che lo scheda come «elemento pericoloso». Quello stesso anno, durante una dimostrazione antimilitarista, viene trovato in possesso di una pistola, seppur senza proiettili, ed è per questo arrestato. Detenuto per un certo periodo in prigione, il giovanissimo Bruno Filippi viene arruolato nel 1918 e parte per il fronte. Nonostante prima dell’entrata in guerra dell’Italia avesse militato tra i neutralisti, l’esperienza militare lo avvicina all’interventismo, e si convince che gli anarchici debbano auspicare al proseguo della guerra per esasperare e portare il proletariato all’insurrezione.

Anarchico estremamente anticonformista, vicino agli ambienti dell’anarco-individualismo più radicale e aristocratico, mostra nei suoi scritti un fiero disprezzo per le masse e per il proletariato, da cui è disgustato per la viltà e l’incapacità di ribellarsi. Dichiara provocatoriamente di preferire paradossalmente la borghesia al proletariato, in quanto pur nella sua mediocrità rimane comunque in grado di perseguire i propri interessi. L’anarchismo di Filippi non è un’idea di rivolta sociale, ma va inteso come una rivolta esistenziale non tanto contro la classe borghese, quanto contro le masse amorfe incapaci di ribellarsi, e contro la viltà e la mediocrità di chi le domina. In questo senso Filippi si dichiara profondamente antiegualitario, manifestando una netta simpatia nei confronti di qualunque movimento aristocratico capace di esaltare l’uomo superiore, più che le masse plebee.

Collabora con Renzo Novatore alla rivista «Iconoclasta!» di Pistoia, che nel 1920 pubblicherá, sotto il titolo I grandi iconoclasti, gli scritti postumi di Filippi. Profondo disprezzatore del capitalismo e della borghesia, a lui sono attribuiti numerosi attentati: quello del 29 luglio 1919, a Piazza Fontana, e quelli a Via Paleocapa e al Palazzo di Giustizia, oltre ad un altro del 31 agosto. Del suo gruppo fanno parte diversi individualisti, tra cui Guido Villa e Aldo Perego, ma avrà contatti con i principali esponenti di questa corrente.

Il 7 settembre 1919, a Palazzo Marino (Milano), Bruno Filippi muore dilaniato dallo scoppio di un ordigno esploso accidentalmente prima del tempo. Sua intenzione era farlo esplodere presso il ristorante Biffi, luogo di ritrovo della Milano bene. Tra la montagna di detriti, di lui si ritrova solo un piede, ed è proprio “grazie” a questo che può essere riconosciuto [2].

Nei giorni immediatamente seguenti, la polizia arresta Guido Villa, Aldo Perego e Maria Zibardi (compagna di Bruno Filippi) Il 12-13 luglio 1920, a Milano, si svolge il processo a carico di quelli che vengono considerati avario titolo complici di Filippi: Guido Villa (condannato a 10 anni), Aldo Perego (condannato a 12 anni di carcere), Elena Melli e Maria Zibardi.

Citazioni


«Cani che leccate la mano di chi vi batte! Ed è per voi, proprio per voi che io dovrei insorgere? (…) Carogne imputridite nella rassegnazione (…) Neanche una sigaretta per voi. Io non voglio unirmi alla corte dei cortigiani del proletariato, che essi scusano, incensano, ornano di lauri. Lamentatevi della guerra, mentre siete voi i suoi autori e i continuatori perché la sopportate» (Arte libera di uno spirito libero). [3]


«Non compiango i soldati che morirono per causa tua. La massa brutta, che si lascia trascinare al macello senza un moto di ribellione, che si lascia scannare così, senza un perché, che abbandona tutto ciò che ha di più caro, al semplice ordine di un foglio affisso ad una cantonata, è troppo vile: merita la morte, merita il coltello del boia. E tu povera Mata eri bella!» (In difesa di Mata Hari) [4]

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Note

1. Un fratello di Bruno, Annunzio, frequenterà gli ambienti anarchici e sarà coinvolto insieme ad Aurelio Tromba, Ettore Aguggini e Antonio Pietropaolo nel velleitario tentativo di vendicare il “Natale di sangue”, ovvero la repressione sanguinosa di Fiume (Natale 1920)

2. http://www.anarcotico.net (sito web non più consultabile)

3. Postumo 1920

4. Postumo 1920

(Fonte della biografia: Anarcopedia)

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